Ciao Michelangelo

Si arriva alla spicciolata, alle prove. Cinque musicisti, cinque macchine. Ogni auto un racconto, quella piccola ma finalmente nuova, quella anche lei piccola ma vecchia, quella anche lei piccola e vecchia ma in più strampalata, quella stanca di lavoro, quella dello sfizio di una vita. Si entra alla spicciolata, in sala prove. Funziona così: il primo si stupisce di essere il primo, e si fa indicare la sala giusta; ci si chiude dentro e tutti gli altri devono indovinare. A volte indovinano ma di solito si sbaglia, fa parte del gioco. Una volta riuniti nello stesso luogo, non si può ancora iniziare. Ci si accorge di avere un bisogno. Bisogno di pisciare, di bere, di mangiare, di fumare? Certo sì, ma per tutti c’è un condiviso bisogno, quello di scambiare due parole, di ricreare il cerchio, di farsi gruppo. Sennò si suona male, si suona scollati. E’ questo il momento in cui il batterista inizia a dare ritmo alla serata, due tocchi di parola appena accennati, poi si prende il suo bassista e insieme vanno addosso alla principessa e ai suoi due scudieri, i tre bellimbusti della prima linea. A volte dura poco, a volte quasi saltano le prove. Si inizia piano: il nostro batterista, si sa, ha il tocco delicato. Un piccolo refuso, poi un concetto avulso dal contesto, poi una certezza irrazionale, e nelle serate migliori una massima da ricordare. Alla fine poi si prova, i brani abbozzati e grezzi si modellano, si affinano, non senza sforzo, la destrezza si fa a volte accademia, volano termini tecnici e considerazioni teoriche, finché il batterista non dice: “fammelo sentire a bocca vai”. E da lì parte la soluzione. Non ama l’apparenza, il batterista, non ama i generi, non ama le etichette, non ama le lontananze; ama le vicinanze, il rapporto diretto, i suoi cari, i suoi amici, ama la complessità delle cose semplici. Ama suonare con noi ma anche con altri, perché da ognuno sa prendere mentre dà, e mentre tocca la batteria con le sue mazze, con leggerezza, con precisione, con chiarezza, scrive la storia profonda di quel brano, la sua intima struttura, il suo senso primario. La prova termina, ma nel dopo c’è ancora il cerchio, ancora il gruppo, il dopo più importante quasi del prima. Le auto ripartono sparpagliandosi nella buia umidità, senza poter solo immaginare quanto presto, quanto troppo presto sarebbe arrivata la stanchezza dei materiali.

Ciao Michelangelo, ciao OMO.

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